ISRAELE E PALESTINA. UN'OPINIONE.

 


di Piero Terracina

(politicamente non schierato, libero pensatore. sionista e panteista)


Ieri sera, ennesimo scontro frontale dialettico sulla definizione di "territori occupati" con la quale molti si riempiono la bocca per condannare Israele. Facciamo allora una corretta analisi dei fatti, delle leggi e della storia. Per chi ha voglia di imparare, un minimo di onestà intellettuale scevra da ideologie e voglia di ricercare la verità dei fatti.


"Israele, la Storia e le Bugie del Diritto Internazionale"


Quando si parla di Israele, il mondo si trasforma in un tribunale isterico. Ogni decisione, ogni reazione, ogni sasso lanciato o casa costruita diventa una crisi diplomatica. Ma se vogliamo essere seri, dobbiamo partire dai fatti. E i fatti dicono che Israele non ha usurpato nulla. Ha vinto guerre che non ha iniziato, ha restituito territori, ha accettato accordi, ha cercato la pace più volte, spesso parlando da solo.


Nel 1947 con la risoluzione 181 dello ONU fu proposta la spartizione della Palestina , allora protettorato inglese, in due Stati. Gli ebrei accettarono, gli arabi no. Il giorno dopo la dichiarazione d’indipendenza, nel maggio 1948, Israele venne attaccato da cinque eserciti arabi. Vinse. E da lì nacque la narrativa tossica dell'usurpatore. Ma Israele non conquistò il territorio con la forza per colonizzarlo. Lo fece per sopravvivere. Come fanno tutti gli Stati in guerra. Quello che cambia è che Israele lo fece apertamente, davanti al mondo, con una popolazione decimata da un genocidio europeo.


Nel 1967, accerchiato militarmente e con gli stretti chiusi, lanciò un attacco preventivo. In sei giorni spazzò via tre eserciti e si trovò a controllare Gaza, il Sinai, il Golan e la Cisgiordania. Nessun piano segreto, nessun disegno imperiale. Solo sicurezza. Solo deterrenza. E cosa successe dopo? Restituì l’intero Sinai all’Egitto. Si ritirò da Gaza. Accettò accordi con la Giordania. Cercò il dialogo con i palestinesi. In che altro angolo del mondo si è mai vista una restituzione simile? Nessuno lo ha fatto. Né la Russia in Crimea. Né la Turchia a Cipro. Né la Cina in Tibet.


E nemmeno l’Italia, per essere chiari. Dopo la Prima guerra mondiale si prese il Trentino-Alto Adige e non lo ha mai restituito. Dopo la Seconda guerra mondiale perse l’Istria, Fiume, Zara e tutta la Dalmazia. La Jugoslavia se li è tenuti, e con loro ha espulso e massacrato centinaia di migliaia di italiani. Nessuno ha mai imposto trattati retroattivi, né all’Italia per i territori acquisiti, né alla Jugoslavia per quelli presi a forza. Fine della storia. Ma Israele no. Israele deve sempre giustificarsi. Deve sempre spiegare perché vuole vivere.


Ogni colonia, ogni checkpoint, ogni muro diventa una colpa eterna. Eppure sono decine le guerre vinte in cui i confini sono cambiati. Trentino, Alto Adige, Istria, Dalmazia, Trieste. Nessuno ha chiesto all’Italia di restituirli. Nessuno ha imposto all’India di lasciare il Kashmir. Nessuno ha chiesto agli Stati Uniti di sgomberare Guam o Porto Rico. Perché Israele allora? Perché è ebreo, occidentale ma non abbastanza, vincitore ma odiato. Perché sopravvive.


E qui arriviamo alla madre di tutte le menzogne: i territori “occupati”.


Cosa significa occupare? In diritto internazionale, vuol dire che un esercito controlla un territorio altrui senza averne titolo. Ma Israele non ha mai tolto nulla a uno Stato palestinese, semplicemente perché uno Stato palestinese non è mai esistito. I territori conquistati nel 1967 erano già contesi: Gaza era sotto controllo egiziano, la Cisgiordania sotto quello giordano. Non c’era uno Stato palestinese sovrano. Quindi Israele non ha “occupato”, ha preso il controllo di aree che erano già sotto amministrazione straniera, dopo aver subito un attacco.


Chi oggi usa il termine “occupazione” ignora il fatto che Israele ha più volte cercato di restituire, di negoziare, di arrivare a un’intesa. Lo ha fatto con l’Egitto, che ha ricevuto indietro il Sinai. Lo ha fatto con la Giordania, che ha chiuso la partita con un trattato. Lo ha tentato anche con Arafat e poi con Abu Mazen. Ma nel frattempo, sulla controparte palestinese si sono insediate fazioni armate, finanziate da Iran e Qatar, con lo scopo dichiarato di cancellare Israele.


Eppure Israele ha continuato a parlare, a cedere, a proporre soluzioni. Ha fatto quello che nessun altro fa: ha rinunciato a porzioni reali di territorio per la promessa di una pace che non è mai arrivata. Ha subito attacchi, intifade, boicottaggi, delegittimazioni. E quando si difende, diventa l’aggressore.


Il 7 ottobre 2023 è stato il punto di rottura. Hamas non ha colpito una base militare. Ha invaso, bruciato, violentato e sgozzato civili. Ha compiuto un massacro. Un genocidio tentato. E ora Israele è in guerra. Non con uno Stato. Ma con una milizia jihadista armata fino ai denti, annidata tra i civili, pronta a usare ogni bambino come scudo per la propria propaganda.


Chi oggi parla di “reazione sproporzionata” mente. Chi finge di non vedere la differenza tra un’operazione militare e un massacro deliberato è complice. Israele non può più permettersi di spiegarsi. Sta combattendo per non sparire. Lo fa da solo, contro l’ipocrisia di chi applica le leggi solo dove fa comodo. Contro un sistema giuridico che, in teoria, vieta la conquista, ma in pratica permette tutto agli altri e niente a Israele.


Il problema non è il diritto. Il problema è chi lo fa valere. Le leggi esistono, ma sono diventate uno strumento. E Israele è l’unico Stato al mondo costretto a difendersi anche quando vince.


Ha restituito. Ha cercato la pace. Ha fatto concessioni. Ma non può permettersi di perdere. Perché l’unica alternativa è scomparire.


E no, non chiederà scusa per aver scelto di vivere.


AtSalut


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A latere, integro volentieri allo scritto per semplificare la lettura e le conclusioni finali :


Un commentatore mi suggerisce : "Sarebbe semplice, basterebbe creare uno stato palestinese"


Quindi ne approfitto, per rispondere a tutti quelli che affrontano questo tema con la superficialità che traspare da questa semplicistica conclusione.


La questione dello Stato palestinese è una di quelle situazioni dove la realtà è brutalmente chiara, ma la politica preferisce nascondersi dietro il velo della diplomazia. Cerchiamo di fare chiarezza, evitando giri di parole e senza zuccherare nulla.


Primo: perché non esiste ancora uno Stato palestinese? Perché i palestinesi non si sono mai messi d’accordo su cosa vogliono davvero. Non c’è una leadership unica che rappresenti tutta la popolazione palestinese. Da una parte c’è l’Autorità Palestinese, debole, divisa, spesso corrotta e poco credibile agli occhi della stessa popolazione palestinese; dall’altra c’è Hamas, gruppo islamista che governa Gaza dal 2007 con un unico obiettivo: distruggere Israele. Finché Hamas continua a predicare la distruzione dello stato ebraico, nessun governo israeliano potrà mai prendersi il rischio di creare uno stato confinante governato da chi vuole cancellarti dalla mappa.


Secondo: il mondo arabo, diciamoci la verità, se ne frega altamente della questione palestinese, salvo usarla quando gli conviene per alimentare un sentimento anti-occidentale o anti-israeliano. Giordania ed Egitto, ad esempio, avrebbero potuto creare uno stato palestinese prima del 1967, quando Cisgiordania e Gaza erano sotto il loro controllo, ma non l'hanno fatto. Perché? Semplice: era più comodo avere i palestinesi come eterna vittima da agitare per distogliere l’attenzione dai loro problemi interni.


Terzo: le trattative sono state sempre sabotate dagli estremismi. Israele ha fatto numerose offerte per creare uno stato palestinese: nel 2000 con Ehud Barak, nel 2008 con Ehud Olmert, nel 2014 con le mediazioni americane. Tutte respinte dai leader palestinesi, terrorizzati dall'idea di accettare una soluzione che potesse farli apparire troppo "moderati" davanti al proprio popolo o addirittura costargli la vita.


Quarto: la questione dei confini. I palestinesi chiedono ufficialmente i confini pre-1967, cosa impraticabile per Israele. Non per capriccio, ma perché significherebbe esporre metà del Paese al rischio di attacchi e rendere impossibile la sicurezza nazionale. Un ritorno puro ai confini del '67 non sarà mai accettato da Israele, punto. Chi sostiene il contrario ignora la realtà sul terreno.


Quinto: la questione dei rifugiati palestinesi. Milioni di palestinesi sono registrati come rifugiati dall'ONU da decenni. Se accettati nello Stato di Israele, cambierebbero radicalmente la composizione demografica e metterebbero fine allo stato ebraico. Israele questo non lo accetterà mai. La soluzione sarebbe integrare questi rifugiati nei paesi arabi dove vivono da generazioni, ma nessun paese arabo vuole farlo, mantenendo così viva una bomba a orologeria politica.


Conclusione: Non si crea uno Stato palestinese semplicemente perché, oggi, nessuno vuole veramente crearlo. Non lo vuole Israele finché non ha garanzie certe di sicurezza; non lo vogliono i palestinesi, incapaci di unirsi e costruire istituzioni credibili; e non lo vogliono nemmeno i paesi arabi, che preferiscono usare la questione palestinese come leva diplomatica.

Finché questa situazione non cambia, continueremo a vedere negoziati fasulli, dichiarazioni altisonanti, violenze cicliche, e nessuna soluzione reale.


Questa, purtroppo, è la realtà, cruda e semplice.



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