GAZA - IL PIANO BLAIR
Il Tony Blair Institute (TBI), noto anche con il nome Tony Blair Institute for Global Change, è un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 2016 dall'ex primo ministro britannico Tony Blair.
Questa organizzazione ha studiato a lungo la guerra israelo-palestinese (scoppiata a seguito dell'attacco dei terroristi di Hamas il sette ottobre 2023), al fine di elaborare una soluzione del problema Gaza in particolare, ma con una visione allargata all'intera Palestina.
Al termine di una lunga analisi dei fatti, e di una lunga serie di incontri, sull’argomento, con gli uomini più importanti del pianeta, è scaturita una vera e propria proposta per porre fine alla guerra di Gaza e sostituire Hamas.
L'ex Primo Ministro britannico ha radunato le parti internazionali interessate a formare un'autorità transitoria per governare la Striscia prima che venga consegnata all'Autorità Nazionale Palestinese, e, dopo una lunga serie di incontri, l’idea iniziale si è evoluta, diventando un progetto esecutivo, forse in grado di porre fine alla guerra.
D’altronde, ormai anche Trump è giunto alla conclusione che solo una coalizione forte, provvista di mezzi economici importanti, di forze militari preponderanti, di autorità politica incontestabile e know how atto a gestire il dopoguerra, può sostituire Hamas a Gaza, garantire un cessate il fuoco permanente ed un accordo per il rilascio degli ostaggi.
Abbiamo letto, in qualche modo, moltissime pagine di questo complesso ed articolato progetto.
Prevede l'istituzione di una Autorità internazionale di transizione di Gaza (GITA) insieme ad una serie di strutture subordinate, e l'istituzione di una Property Rights Preservation Unit (PRPU) che garantisca che qualsiasi partenza volontaria dei cittadini di Gaza non comprometta il loro diritto a tornare nell'enclave o a mantenere la proprietà immobiliare.
Non è, quindi, un piano per trasferire la popolazione di Gaza fuori da Gaza, ma il modo giusto per garantire ai gazawi che Gaza sarà sempre dei suoi abitanti.
Al contrario, Netanyahu, Dermer, ed altri, sostengono la creazione della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) e il Boston Consulting Group (BCG), che intendono facilitare ed incoraggiare l'emigrazione volontaria dei palestinesi da Gaza.
GITA avrà un consiglio composto da sette a dieci membri, che includerà:
- almeno un rappresentante palestinese qualificato (potenzialmente proveniente dal settore imprenditoriale o della sicurezza),
- un alto funzionario delle Nazioni Unite,
- importanti personalità internazionali con esperienza dirigenziale o finanziaria
- e una forte rappresentanza di membri musulmani, per rafforzare la legittimità regionale e la credibilità culturale.
Il consiglio avrà il compito di “emanare decisioni vincolanti, approvare leggi e nomine e fornire una direzione strategica”, riferendo al contempo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Il presidente del consiglio sarà nominato per consenso internazionale e riceverà l'approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il presidente guiderà l'impegno esterno e la diplomazia del GITA e definirà la direzione politica dell'organismo, in stretto coordinamento con l'Autorità Nazionale Palestinese.
Il presidente del consiglio di amministrazione del GITA avrà a disposizione uno staff di supporto composto da un massimo di 25 persone che faranno parte del “segretariato strategico”.
Il piano prevede anche la creazione di un'Unità di protezione esecutiva composta da personale d'élite proveniente da paesi arabi e internazionali per proteggere la leadership del GITA.
Un Segretariato esecutivo sarà posto sotto il GITA e fungerà da centro amministrativo e braccio esecutivo di quest'ultimo, supervisionando direttamente l'Autorità esecutiva palestinese (PEA).
Quest'ultimo organismo sarà un comitato di tecnocrati palestinesi indipendenti, che saranno responsabili dell'amministrazione di Gaza dopo la guerra.
Alla Segreteria esecutiva risponderà un gruppo di cinque commissari che supervisioneranno i settori chiave della governance di Gaza:
- affari umanitari,
- ricostruzione,
- legislazione e affari legali,
- sicurezza,
- coordinamento con l'Autorità Palestinese.
In particolare, il piano stabilisce che il commissario incaricato della supervisione degli affari umanitari sarà responsabile del coordinamento con le agenzie umanitarie, tra cui la Gaza Humanitarian Foundation, di cui alcuni attori arabi hanno chiesto lo smantellamento.
Per quanto riguarda il commissario per il coordinamento con l'Autorità Palestinese, il piano prevede che l'obiettivo del suo ufficio sia quello di "garantire che le decisioni del GITA e quelle dell'Autorità Palestinese siano, per quanto possibile, allineate e coerenti con l'eventuale unificazione di tutto il territorio palestinese sotto l'Autorità Palestinese".
Il commissario “monitorerà inoltre gli sforzi di riforma dell’Autorità Palestinese in coordinamento con i donatori internazionali, le istituzioni finanziarie e i partner arabi impegnati nello sviluppo istituzionale palestinese”.
Va sottolineato che le riforme che il piano Blair prevede per l'Autorità Palestinese "non sono cosmetiche" e che uno dei motivi per cui non esiste una tempistica stabilita per il trasferimento dell'autorità di Gaza all'Autorità Palestinese da parte della GITA è che il processo è "basato sui risultati”.
Ma è importante capire che l'autorità transitoria per governare la Striscia va formata prima che essa venga consegnata all'Autorità Nazionale Palestinese.
Trump, che tempo addietro aveva espresso e legittimato il concetto di "migrazione volontaria" ha, oggi, preso le distanze dall'idea e, durante la sessione politica della Casa Bianca del 27 agosto, ha chiarito che avrebbe invece appoggiato il piano di Blair.
La proposta Blair prevede che l'Autorità Palestinese subisca riforme significative e limita il coinvolgimento di Ramallah nel GITA principalmente a questioni di coordinamento. Ciononostante, l'Autorità Palestinese è esplicitamente menzionata in tutto il piano, che prevede "l'eventuale unificazione di tutto il territorio palestinese sotto l'Autorità Palestinese".
Trump sembra favorevolmente colpito dalla proposta Blair, tant’è che sembra abbia sollecitato Blair a coinvolgere il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che gli Stati Uniti considerano uno degli attori più importanti nella ricostruzione postbellica, con sufficiente influenza per coinvolgere il resto della regione.
Netanyahu non è, notoriamente, a favore della proposta del Blair Institute.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si piglia; e io penso all'attacco israeliano del 9 settembre contro i leader di Hamas a Doha.
Blair aveva contattato Egitto e Qatar per convincere il gruppo terroristico a non ostacolare il piano, e l’attacco israeliano ha sospeso i colloqui. Che comunque sono già ripresi.
Certo è che la parte più difficile sarà vendere il piano a Israele e ad Hamas.
Neutralizzare un gruppo terroristico attraverso mezzi non militari, insomma. Se accadrà, sarà la prima volta nella Storia.
Il Piano Blair contiene una parte di cui abbiamo potuto leggere poco.
Il titolo del capitolo è DDR (disarmo, smobilitazione e reintegrazione) ed alcune pagine disarticolate, ma indubbiamente interessanti.
Seguono.
Alla PEA (Autorità Esecutiva Palestinese) faranno capo anche i comuni di Gaza, che saranno responsabili della fornitura di servizi a livello locale; una forza di polizia civile di Gaza composta da ufficiali "reclutati a livello nazionale, selezionati professionalmente ed imparziali" incaricati di mantenere l'ordine pubblico e proteggere i civili; un consiglio giudiziario presieduto da un giurista arabo che supervisionerà i tribunali e l'ufficio del pubblico ministero di Gaza; e la già citata "Unità per la salvaguardia dei diritti di proprietà" (PRPU).
A sostenere la forza di polizia civile ci sarà la “Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF), una forza di sicurezza multinazionale con mandato internazionale, istituita per garantire stabilità strategica e protezione operativa a Gaza durante il periodo di transizione”. Dovrà -afferma il piano- “garantire l'integrità dei confini, scoraggiare la ripresa dei gruppi armati, proteggere le operazioni umanitarie e di ricostruzione e supportare le forze dell'ordine locali attraverso il coordinamento, non la sostituzione".
In un apparente riferimento al suo compito di combattere i resti di Hamas, il piano afferma che le ISF “condurranno operazioni mirate per prevenire la rinascita di gruppi armati, interrompere il contrabbando di armi e neutralizzare le minacce asimmetriche all'ordine pubblico e alle funzioni istituzionali”.
In un allegato sui costi del GITA, il piano spiega che il bilancio aumenterà ogni anno man mano che il nuovo organo di governo entrerà gradualmente in funzione in tutta la Striscia.
Il budget per il primo anno è stimato in 90 milioni di dollari, per il secondo a 135 milioni di dollari e per il terzo a 164 milioni di dollari. Le cifre non includono i costi dell'ISF e degli aiuti umanitari.
Concludo.
Il piano Blair per la gestione postbellica di Gaza sembra essere l'unica proposta ad aver ottenuto il sostegno degli Stati Uniti.
Una cosa è certa: l’unico modo per porre fine alla guerra è far sì che tutte le parti interessate trovino un accordo su come Gaza sarà governata in futuro, senza Hamas, e protetta da futuri tentativi di Hamas di occuparla di nuovo.
Questo potrà accadere solo se a Gaza ci sarà una nuova struttura di governo con una seria forza di sicurezza della comunità internazionale. Questa non potrà essere, all’inizio, l'Autorità Nazionale Palestinese, che sarà solo partner di quella internazionale. Verrà consultata e coordinata, ma non sarà lei a gestire Gaza fin dal primo giorno. Non fino a completa attuazione della riforma.
Game over.
