7 MILIONI DI CITTADINI STATUNITENSI MANIFESTANO CONTRO TRUMP



di Vincenzo Marini Recchia 

Donald J. Trump è un problema per l’Occidente, non una soluzione.

Il 18 ottobre si è svolta negli USA la più grande manifestazione di protesta contro un presidente in carica di tutta la storia americana. 

Oltre 7 milioni di americani adulti hanno partecipato alle 2700 manifestazioni indette con lo slogan No King. Ben oltre il 3.5% della popolazione adulta statunitense. Il che ha immediatamente fatto evocare la “ 3,5% rule “. Di cosa si tratta? Della soglia critica della sopravvivenza di un potere esecutivo, proposta dalla politologa Erica Chenoweth (Harvard Kennedy School) sulla base di uno studio sistematico su 323 movimenti di resistenza non violenta nel periodo 1900–2006 (Why Civil Resistance Works, 2011; con Maria Stephan).

Risultato principale dello studio: Nessun regime è riuscito a sopravvivere a un movimento di protesta non violento che abbia coinvolto attivamente almeno il 3.5% della popolazione. È evidente che non si tratta di una costante predittiva ma se colleghiamo la crescente mobilitazione popolare all’ultimo sondaggio - che vede il consenso di Trump precipitato al 37% - si può ben dire che l’attuale Presidente degli USA non rappresenti la volontà popolare. Non solo. Tutta una serie di dichiarazioni ed ordini esecutivi prefigurano un preoccupante superamento di quella che è comunemente intesa come lealtà costituzionale.  

Le manifestazioni statunitensi hanno avuto un corrispettivo di iniziative solidali in 13 paesi occidentali e in Giappone. Naturalmente le relazioni politiche - nella NATO e fuori di essa - restano improntate a una ipocrisia diplomatica che ormai stride apertamente con gli interessi strategici dell’Occidente, intesi sia singolarmente che come alleanze politico militari.   

Le cronache sono piene di episodi che segnalano un inconfutabile degrado della qualità, competenza e stile dell’attuale amministrazione. Di più: l’analisi di questi primi 10 mesi conferma che l’attuale presidenza è un fattore permanente di instabilità geopolitica, mentre il giudizio della restante leadership occidentale continua ad oscillare tra la consolidata preoccupazione tedesca - ma anche giapponese, canadese, messicana - e la presunzione di leader come Macron, Starmer e la Meloni che credono di maneggiare quella che finora si è dimostrata una vera e propria risorsa di Putin. Per quanto riguarda il nostro paese è ormai insopportabile assistere - a fronte della drammaticità degli scenari - a siparietti da vaudeville tra il nostro Primo Ministro e l’inquilino della Casa Bianca. Così come ha dell’incredibile ascoltare il senatore Renzi magnificare il suo rapporto personale di amicizia con il genero di Trump - immagino del tipo che aveva con il braccio destro di Musk in Italia - ed il ruolo avuto dallo stesso nell’intricata vicenda mediorientale. Vicenda, tra l’altro, lungi dall’essersi stabilizzata e che conferma, oltre all’inaffidabilità della famiglia Trump, un suo sfacciato interesse affaristico con il Qatar. 

Non della fiera delle vanità abbiamo bisogno in Europa ma di una leadership coraggiosa, autonoma e in grado di definire le innovazioni strategiche di una visione liberaldemocratica e progressista. 

Trump è nemico dell’Europa ed un fattore di disordine mondiale. Quanto sono ridicoli i negoziatori di Trump il pacificatore, che di nuovo chiedono ad Israele di intervenire a Gaza per disarmare Hamas - che sta regolando sanguinosamente I conti con i palestinesi che si oppongono alla loro presenza - e farlo con un uso non sproporzionato della forza!

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