LA SPESA MILITARE ED IL RELATIVO IMPATTO SULL'ECONOMIA ITALIANA. TRE CONSIDERAZIONI.

 

Il recente rapporto Arming Europe segnala le conseguenze dell'escalation della spesa militare italiana sulla nostra economia generale.

Un esame delle modalità di acquisto (dove e da chi acquistiamo) evidenzia anch'esso che vanno apportate opportune modifiche.

In ultimo, ma non certo in ordine di importanza, l'analisi dei numeri di un'ipotesi di realizzazione di una Forza Armata Europea ne suggeriscono l'adozione, sia dal punto di vista economico che di risultato, quanto più rapidamente possibile.

1. La spesa militare italiana aumenta in un contesto di guerre, crescenti tensioni e insicurezza. Nonostante le difficoltà delle finanze pubbliche, la spesa militare è cresciuta con un ritmo senza precedenti, in Italia, riducendo ulteriormente le risorse per la spesa sociale e ambientale. In particolare, colpisce l’aumento della spesa per le armi, la cui quota è raddoppiata rispetto alla spesa per il personale e per l’esercizio in tutti i Paesi UE nell’ultimo decennio.

Il budget italiano per i sistemi d’arma è passato da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi.

Considerando le variazioni percentuali in termini reali nel decennio 2013-2023 in Italia, è evidente il contrasto tra l’aumento record delle spese militari (+26%) e dell’acquisto di armi (+132%) rispetto alla stagnazione del Pil (+9%) e dell’occupazione (+4%).

In un contesto di stagnazione, una tale concentrazione di risorse nel settore militare va a scapito di altre voci di spesa pubblica: la spesa per la sanità è aumentata solo dell’11%, quella per l’istruzione solo del 3%, la spesa per la protezione ambientale solo del 6%.

In Italia, la crescita della spesa per le armi (+132%) tra il 2013 e il 2023 supera anche quella della spesa pubblica in conto capitale per la costruzione di scuole (+3%), ospedali (+33%) o impianti di trattamento delle acque (che ha registrato addirittura un trend negativo) -6%.

Tutto ciò mentre l’OMS stima che nel 2021 le vittime del cambiamento climatico e dell’inquinamento in Europa sono state 1,4 milioni di persone.

Il crescente orientamento militare delle economie europee è problematico non solo in termini di qualità sociale e di sostenibilità ambientale, ma anche in termini di impatto sui risultati economici e occupazionali.

Applicando la metodologia Input-Output - che analizza gli effetti sulla domanda nazionale diretta e indiretta attivata da una spesa pubblica iniziale - si scopre, infatti, che l’acquisto di armi ha un effetto moltiplicatore sul resto delle attività economiche nettamente inferiore a quello degli investimenti nei settori ambientale, sanitario e dell’istruzione. Tra le ragioni di questo scarto, c’è il fatto che la quota delle importazioni è molto più elevata nelle acquisizioni di armi (circa il 59% per l’Italia) che negli altri settori considerati (meno dell’1%).

In Italia, 1.000 milioni di euro spesi per l’acquisto di armi mettono in moto un aumento della produzione interna di soli 741 milioni di euro. La stessa cifra investita in altri settori pubblici ha invece un effetto moltiplicatore quasi doppio, con un aumento della produzione pari a 1.900 milioni di euro nella protezione ambientale, 1.562 milioni di euro nella sanità e 1.254 milioni di euro nell’istruzione.

Uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale dei 1.000 milioni di spesa, che nel settore della difesa sarebbe limitato a 3.000 nuovi posti di lavoro, mentre nel settore dell’istruzione sarebbe di quasi 14.000, più di 12.000 nella sanità e quasi 10.000 nella protezione ambientale; quasi il quadruplo.

Questi risultati ci dicono che la scelta di concentrare le risorse pubbliche nel settore militare non determina solo la riduzione dei fondi per affrontare le priorità ambientali e sociali, ma ha anche un effetto significativamente inferiore in termini di crescita economica ed occupazionale. L’aumento delle spese militari - associato alla prospettiva di un più forte “complesso militare-industriale” - può infatti rallentare lo sviluppo economico europeo, mentre maggiori spese per l’istruzione, la salute e l’ambiente migliorerebbero la qualità di vita e dell’ambiente in Italia e in Europa.

La scelta della militarizzazione non va nemmeno nella direzione dei più recenti studi sulle esigenze di sicurezza, che sostengono che ordine internazionale e sicurezza non debbono più essere intesi solo in termini militari, ma anche e soprattutto con la visione di “human security”, secondo cui per mantenere la pace si devono tutelare i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, insieme alle condizioni ambientali e climatiche.

I risultati dello studio “Arming Europe” mostrano che la militarizzazione è un cattivo affare anche in termini puramente economici. L’aumento della spesa militare sta portando l’Europa su una traiettoria di minore prosperità economica, minore creazione di posti di lavoro e peggiore qualità dello sviluppo. Maggiori spese per l’ambiente, l’istruzione e la salute avrebbero invece migliori effetti economici sulla produzione e l’occupazione e, soprattutto, sulla qualità di vita e dell’ambiente.

2. Acquistiamo la maggior parte delle armi all'estero, e addirittura fuori dell'Unione Europea, perché produciamo solo sistemi d'arma dallo scarso valore unitario e a scarso valore aggiunto, con conseguente aggravio della nostra bilancia dei pagamenti ed insufficiente impatto positivo su PIL ed occupazione. Problema di tutti gli Stati membri dell'Unione Europea, che acquistano (dati aggregati) l'80% di armi e munizioni fuori dai propri confini. Studi attendibili sostengono che l'UE potrebbe, entro il 2035, arrivare a produrre il 60% della spesa totale; l'Italia potrebbe arrivare al 55%.

3. La realizzazione di Forze Armate Europee è un obiettivo da perseguire al più presto.

Due numeri per capire.

La Federazione Russa spende 100 miliardi di USD l'anno in armi.

L'Unione Europea spende 270 miliardi di USD l'anno in armi.

Ovvio che l'impatto totale, dal punto di vista militare, degli investimenti frazionati degli Stati membri dell'UE, è minore di quello russo. Gli investimenti in ricerca e sviluppo, se comuni, costerebbero molto meno. L'UE, con 120 miliardi di USD complessivi, risparmierebbe denaro e sarebbe più potente della Russia.

Concludo.

Sono, da sempre, un pacifista. Ma non si può non trattare anche questi argomenti. L'ideologia non deve, MAI, accecare.

Primum vivere, deinde philosophari.

Buon fine settimana a tutti.

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