Una nota scritta (a mano, sul mio notes) il 7 settembre 1982, a Zeebrugge (il porto di Bruges), in Belgio.



Ieri sera, dopo una trattativa durata diverse ore, ho finalmente concluso l'accordo che ci consentirà di utilizzare alcuni container frigo da 20' che una piccola compagnia belga ha a Ceuta, terra spagnola in Marocco, per ricoverare il nostro pescato mediterraneo in acque marocchine, che così, magicamente, diventerà italiano, perché EEC. E quindi senza tanti obblighi burocratici (e fiscali) al suo arrivo in Italia. Vabbè! È difficile da spiegare, ma è così. Fidatevi.

Fatto sta che, abituato ad alzarmi presto, sono uscito dall'hotel per trovare una caffetteria, o comunque un posto dove poter sorbire lentamente un tazzone di caffè, fumando la mia prima Gauloises. In hotel non si può fumare nella sala colazioni, ed il bar, che ha un dehor, è ancora chiuso, a quest'ora.

Così, caminando lungo una strada, dove bar, bistrot e coffee-shop si susseguono, molti con le serrande ancora abbassate, sono entrato in questo coffee-shop, ho ordinato il mio caffè, e me lo sono portato fuori, dove ho tirato giù una sedia tra quelle sistemate a rovescio su un tavolino, dove hanno trascorso, indisturbate, la notte.

La mente, seguendo uno di quei percorsi di cui ancora non conosciamo i meccanismi, mi ha proposto un immagine simile e al tempo stesso completamente diversa, di una strada di un porto italiano, anche quella con diversi bar, molti, alla stessa ora, ancora chiusi, dove tavolini e sedie si vedono, attraverso i vetri, ammonticchiati all'interno, e non all'esterno, come quì a Zeebrugge. 

Perché, ovviamente, se fossero stati lasciati all'esterno, durante la notte qualcuno li avrebbe, nel migliore dei casi, utilizzati e lasciati in disordine; nel peggiore dei casi, rubati.

Eppure il popolo dei porti è lo stesso, a Genova, a Napoli, a Civitavecchia, a Fano, come a Zeebrugge: eterogeneo, fatto di gente di tutte le razze, colori e provenienze. 

Chissà perché in un posto quel popolo si comporta in un modo ed in un altro posto, invece, tira fuori il peggio di sé.

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