MILANO: CHI SE LA BEVE?
di Umberto Mosso
Una volta qualcuno sosteneva, sarcasticamente, che le strade fossero di destra e le ferrovie di sinistra. Poi arrivò la mutazione antropologico – culturale che trasformò in aceto il vino di certa sinistra nella quale prevalsero i contrari anche alle ferrovie. Come la Torino – Lione. Così si creò la grande unità populista tra le frange violente degli ambientalisti radicali e i signori delle seconde case, quelli di “quanto era bella la Valtellina quando ci venivamo solo noi”.
Oggi sotto accusa ci sono i grattacieli di Milano, sotto i quali si nasconderebbe una rete corruttiva la cui esistenza sarebbe testimoniata dalle semplificazioni procedurali applicate dal Comune, ma non condivise dalla Procura, e dal dialogo costante tra soggetti pubblici e privati, entrambi portatori di interessi da rendere funzionali allo sviluppo della città.
Può darsi che tra le pieghe di queste procedure si siano verificati episodi corruttivi. Si tratta di progetti complessi e di apparati amministrativi assai articolati le cui intercapedini possono nascondere certi fenomeni. Ma a Milano, da quello che riportano i media, non si parla di specifici fatti, ma di un “Sistema”, che per la parte pubblica coinvolgerebbe alti dirigenti, assessori presenti e passati, arrivando fino al Sindaco.
C’è una richiesta di provvedimenti di detenzione cautelare da parte della Procura sui quali si è in attesa del pronunciamento dei giudici. Ma dalla pubblicazione di alcuni stralci dell’inchiesta, giunti in maniera illegale ai media, non ci sono indicazioni di fatti specifici, circostanze, nomi di autori di quei fatti, insomma tutti gli elementi che costituiscono la sostanza di una inchiesta penale.
Ci sono solo considerazioni e affermazioni di carattere generale e giudizi etici propri più di un documento politico che di un atto giudiziario. Almeno da ciò che è stato pubblicato.
Dunque il giudizio che si può dare, almeno fino ad ora, dei fatti di Milano è soprattutto un giudizio politico e culturale.
In primo luogo c’è da rilevare che nei media prevale una interpretazione ideologica che denota la mancanza di conoscenza delle regole del gioco e delle buone pratiche urbane europee da parte di chi scrive. Ai quali appare un indizio di scandalo lo sviluppo di un dialogo diretto tra Istituzioni e mondo imprenditoriale sulle fattibilità dei grandi progetti di rigenerazione urbana. Salvo magnificare tali realizzazioni al ritorno dall’estero e chiederci perché da noi questo non sia possibile.
Il paradosso messo in luce dall’inchiesta milanese è che tutti, a destra come a sinistra, ci continuano a ripetere che questo Paese ha bisogno di essere svecchiato, modernizzato, semplificato, sburocratizzato e che tutto questo è ciò che favorisce gli investimenti privati che creano lavoro e ricchezza, anche per l’erario, da redistribuire, ma se c’è una Istituzione che prova a fare tutto ciò emerge subito la cultura dell’immobilismo, del non fare.
Ed è particolarmente doloroso quando questa cultura, in nome della legalità e dell’ambientalismo, ferma processi di crescita, anche sostenibile come a Milano, che peggiorano la vita di migliaia di cittadini onesti.
Si pensi a chi lavora nei 150 cantieri fermati, o alle 4500 famiglie che hanno comprato casa e che non sanno cosa sarà del loro immobile legittimamente acquistato.
I prezzi sono da ricchi? Ma questa è una considerazione politica, sulla quale discutere in Consiglio Comunale o meglio in Parlamento, non in un processo penale.
Come pure la vexata questio dei grattacieli che hanno trasformato lo sky line di Milano con grande disgusto dei neoconservatori di entrambe le sponde politiche.
Un tentativo maldestro, ai limiti del sospetto di interessi opachi nascosti sotto la coperta corta di motivazioni ambientali e sociali.
Milano è una città “piccola” di soli 182 km quadrati. A fronte dei 1287 km quadrati di Roma, per intenderci. Questo è un punto di forza (più semplice e meno costoso erogare servizi in un abitato così compatto e su terreno pianeggiante), ma anche di debolezza dovendo trovare spazio in verticale per risparmiare suolo.
Dunque i grattacieli non sono un danno per l’ambiente. O si preferisce consumare suolo con costruzioni in orizzontale che, inoltre, comporteranno maggiori costi di trasporto e di consumi energetici?
Si sostiene, poi, che i costi d’acquisto di abitazioni nei grattacieli in centro siano proibitivi per chi possiede redditi popolari o medi. Questo è vero. Ma risulta a qualcuno che i prezzi degli immobili nei nostri centri storici, non solo a Milano, siano popolari o medi?
Viceversa, una nuova ingente offerta di immobili in centro dovrebbe far abbassare i prezzi. E, forse, chissà, questo potrebbe essere il motivo di una forte opposizione che vorrebbe presentarsi come difesa dell’interesse pubblico ma che, bloccando di fatto il mercato e precipitandolo nell’incertezza futura per lungo tempo, in realtà favorirebbe solo gli attuali proprietari degli immobili esistenti, i quali, in un mercato più ristretto, vedrebbero aumentare ulteriormente la loro rendita immobiliare.
Ma poi, paradosso dei paradossi, se in una certa area, invece che un grattacielo di abitazioni, ci si mettesse un parco, i prezzi delle vecchie case limitrofe lieviterebbero in modo esponenziale.
Dunque, questi sono i temi politici veri che dovrebbero vedere impegnata Milano, e non solo. E questi sono i temi che i media dovrebbero affrontare.
L’inchiesta giudiziaria faccia il suo corso, e se ci sono reati accertati siano puniti. Ma chi ha a cuore Milano, e in generale le nostre politiche urbane, pensi ad altro.
Pensi anche a come battere culturalmente la logica di “quanto era bella la Valtellina quando ci andavamo solo noi” che non può diventare “quanto è bella Milano se in centro ci abitiamo solo noi”.
